“Il caso SOLVAY”

Come riportato nel rapporto di Legambiente 2014 , delle CAVE in Italia non si occupa nessuno ed è evidente l’interesse e la pressione affinché la situazione non cambi. La legislazione nazionale in materia risale al 1927 e non si ricordano interventi dei ministeri da decenni sul tema, né c’è una chiara consapevolezza da parte delle Regioni, che dal 1977 hanno le competenze in materia, del ruolo che dovrebbero svolgere per indirizzare il settore senza subire il peso degli interessi delle lobby come avvenuto fino ad oggi.

Siamo un paese di “cavatori” e questo ha certamente condizionato molte scelte, soprattutto politiche in merito all’utilizzo delle nostre colline e rilievi montuosi.

Le cave attive al 2014, sono 5.592 mentre sono 16.045 quelle dismesse nelle Regioni in cui esiste un monitoraggio.

L’economia dell’accentramento delle funzioni produttive e residenziali, la possibilità di reperimento di manodopera grazie all’offerta insediativa, gli stadi di crescita ed espansione non condizionati dai limiti di altre strutture produttive, come avviene nelle città, l’opportunità di scelta di una localizzazione che offra integralmente i requisiti richiesti dalla produzione, quindi pianificazione totale degli elementi che determinano la  produzione stessa, inserisce radicalmente lil settore minerario all’interno del tessuto sociale territoriale ( come del resto altre realtà produttive ed economiche ), facendo in modo che ad un certo momento o all’occorrenza, il cittadino stesso sia parte di un sistema capitalistico, dove il lavoro è parte integrante della vita stessa.

La proliferazione dei villaggi aziendali per tutto il corso dell’ottocento corrisponde a una fase intermedia di produzione, gestione ed uso del territorio da parte  del sistema capitalistico – industriale, tra una prima fase finalizzata al mero profitto,  e una successiva, tra la seconda metà del secolo scorso e i primi anni del novecento si definiscono ruoli ed interrelazioni tra capitale e potere politico, tra imprenditori e governo centrale o locale.

Nella fase intermedia dell’organizzazione del capitale, gli industriali “illuminati” costruiscono i villaggi operai, che costituiscono ”investimenti aziendali non circoscritti a spazi e strutture produttive, ma a tutti gli elementi che compongono il ciclo della produzione e quindi:  riproduzione della forza lavoro, istruzione, organizzazione del tempo libero e così via”.

I villaggi minerari ne sono un chiaro esempio e come vedrete in questa breve storia, il lavoratore diventa tutore del signore dell’industria, colui che distribuisce benefit ripagati della classe operaia a caro prezzo.

Come in una malattia autoimmune, l’incapacità del sistema immunitario di spegnere i processi diretti contro l’organismo al termine di una fisiologica risposta infiammatoria o di prevenirne lo sviluppo al di fuori di essa, così molti meccanismi portati alla luce da comitati ambientalisti, giornalisti, cittadini consapevoli, vengono sedati dagli stessi ignari impiegati che difendono a spada tratta il proprio operato all’interno delle fabbriche costruite a misura di uomo.

Solvay_conference_1927

Cave e Cavatori…vinti e vincitori

Nel Volterrano, sono noti fin dai tempi degli etruschi giacimenti di salgemma purissimo, cloruro di sodio al 99,893%. Questa risorsa non rinnovabile ha segnato la storia di Volterra e della sua economia da tremila anni a questa parte. Per la sua qualità il salgemma del Volterrano risulta particolarmente adatto al consumo alimentare o agli usi cosiddetti “fini” piuttosto che per la produzione di cloroderivati.

Il minerale si trova in banchi e lenti all’interno di depositi argillosi del Messiniano (Miocene sup.) posti nel sottosuolo a profondità variabili nella zona di Saline di Volterra e Ponteginori.
Il sale ha un’origine evaporitica ed è frequentemente associato a livelli di gesso. L’estrazione del minerale avviene in tre fasi: attraverso pozzi viene immessa acqua nel sottosuolo; si determina la formazione di bacini endogeni di acque salse; successivo prelievo per pompaggio di salamoia satura.

Le quantità̀ di sale che si stima siano racchiuse nel sottosuolo delle concessioni della Salina sono circa 80.000.000m3, una quantità̀ che coltivata ai ritmi Solvay andrebbe esaurita nel giro di 70 anni. L’annullamento della risorsa viola il principio di sviluppo sostenibile che la Regione Toscana con la legge 5/1995 ha fatto proprio.

Qualsiasi soggetto privato che estrae salgemma è tenuto a pagare un canone annuo per ogni tonnellata di minerale all’erario (fino a ieri ai Monopoli di stato). Solvay aveva arbitrariamente cessato di corrispondere tale canone ai Monopoli dai primi anni settanta, divenendo così debitrice di circa 75 miliardi di lire (38.734.267€). La contrattazione tra Solvay e Monopoli si è rivelata un disastro per l’ente pubblico. E’ stato abbassato il prezzo del canone da 2.700 lire (1,39€) più IVA per tonnellata annua a 1.700 lire (0,88€) più IVA. Il canone era 210 lire (0,11€) nel 1967, ovvero tenuto conto dell’inflazione 10 volte più alto di adesso.

Ancor più stupefacente è la decorrenza della revisione del prezzo, fissata retroattiva fin dal 1986, cosicché l’erario perde a favore di Solvay oltre 2 miliardi di lire (1.032.914€) all’anno. Per finire Solvay estinguerà il debito con la fornitura di salamoia che il contratto prevede che debba assicurare alla Salina, quindi in concreto la multinazionale non verserà̀ neanche un soldo del debito dovuto.

Per non parlare delle indagini geofisiche e geognostiche condotte dall’azienda all’interno delle concessioni, secretate per improbabili ragioni di concorrenza industriale. La motivazione, se la situazione non fosse così preoccupante, apparirebbe quasi comica, infatti lo sfruttamento delle proprie concessioni gli è assicurato in perpetuo dallo Stato italiano e dunque non esiste rischio di concorrenza.

Tale documentazione potrebbe invece mettere in evidenza gli effetti nel sottosuolo della coltivazione col sistema a pozzi multipli ed essere eventualmente di aiuto per prevenire possibili situazioni di rischio dentro e fuori le concessioni minerarie. La sicurezza passa, però, in secondo piano di fronte alle nobili ragioni del mercato, anche quando sono palesemente inconsistenti e pretestuose.

La politica di Solvay rispetto a questo problema appare piuttosto spregiudicata.
Per non fornire punti di riferimento certi ed elementi tangibili delle conseguenze del fenomeno, l’azienda dispone l’abbattimento di ogni manufatto all’interno delle concessioni. E’ così che sono andati perduti molti antichi poderi delle campagne del Volterrano. L’azienda tende a rilevare, pagandoli cifre cospicue, i fabbricati che hanno subito le lesioni più gravi fuori e dentro le concessioni, in modo tale da occultare le conseguenze più evidenti del dissesto e cercando di dividere il fronte dei cittadini che protestano.

Infine c’è un problema di trasparenza: la rete pubblica di livellazione che esegue il monitoraggio della subsidenza è sotto la responsabilità̀ di un eminente professore del C.N.R. che purtroppo è al tempo stesso il principale consulente tecnico di Solvay nella zona.
Come spesso avviene per le industrie della chimica di base anche nel caso degli impianti Solvay di Rosignano la contaminazione ambientale sembra essere lo scotto da pagare in cambio dei posti di lavoro. I problemi ambientali più gravi, oltre a quelli relativi al salgemma e all’acqua dolce, hanno contorni ben definiti, si chiamano: cloro e mercurio.

Ma chi è SOLVAY?

Solvay SA è una azienda belga che opera nel settore chimico e delle plastiche. È quotata al BEL20, la Borsa Valori Belga. È stata fondata nel 1863 da Ernest Solvay, i cui eredi, tramite Solvac SA controllano Solvay.

Ernest Solvay nacque il 16 aprile del 1838 a Rebecq-Rognon in Belgio, inventore, industriale, politico e  dottore honoris causa all’Università Libera di Bruxelles e Ginevra nonché socio corrispondente dell’Istituto di Francia e dell’Accademia delle Scienze di Berlino.

SOLVAY_ErnestLo Stabilimento di Rosignano Solvay è il primo costruito in Italia dall’Industria Solvay.
I lavori di costruzione iniziarono il 17 settembre 1913, ma già dal 1909, emissari incaricati da Ernest Solvay, erano alla ricerca di un sito adatto, inizialmente fu scelto come sito ideale una zona del comune di Cecina, ma a causa di varie problematiche si ripiegò sul comune di Rosignano Marittimo e precisamente nella zona circoscritta tra il comune, il mare e il fiume Fine, per le vicinanze con le cave per l’estrazione del calcare a Rosignano Marittimo e a San Carlo, con Ponteginori dove veniva ricavato il sale, e l’acqua marina impiegata per il raffreddamento durante la produzione e la possibilità̀ di utilizzare il vicino scalo ferroviario per la commercializzazione.
Nel luglio del 1912 la società̀ acquista per 400.000 lire 160 ettari di terreno. Così il 28 marzo 1913 iniziano i lavori di fabbricazione dei mattoni per la costruzione dello stabilimento, che si inizia a costruire nel settembre dello stesso anno e che viene completato nel 1914.

Solvay S.A. è presente nelle province di Pisa e Livorno, Toscana Centro Occidentale, dal 1917 e attualmente mantiene il grosso stabilimento industriale presso Rosignano Solvay, cittadina della nostra costa in Provincia di Livorno.
E’ titolare di concessioni per lo sfruttamento minerario dei giacimenti di salgemma nelle aree dell’entroterra denominate Buriano, Casanova e Ponteginori (quest’ultima ormai esaurita).

Il salgemma (il comune sale da cucina) si trova nella zona di Volterra in banchi e lenti sotterranei a profondità variabili in genere tra 80 e 500m, all’interno di formazioni argillose mioceniche.
La coltivazione dei giacimenti avviene tramite pozzi che attraversano i principali banchi del minerale. Immettendo nei pozzi grossi quantitativi di acqua dolce a pressione viene provocata la dissoluzione del sale. La salamoia (soluzione di acqua e sale) viene quindi estratta e introdotta in altri pozzi fino ad arrivare ad ottenere una soluzione satura di cloruro di sodio. Pozzi diversi, dislocati a distanza di varie decine di metri con disposizione «a scacchiera» vengono in comunicazione in profondità attraverso i vuoti lasciati dalla dissoluzione dei banchi di salgemma.

La fase in cui si realizza la messa in comunicazione tra pozzi, dopo la quale inizia la fase di estrazione, impiega tempi variabili da uno a tre anni, in funzione degli aspetti geologici e stratigrafici della zona. La fase produttiva è costituita dalla messa in esercizio dei pozzi, attraverso i quali viene prelevata la salamoia satura fino all’esaurimento dello strato di salgemma. La salamoia estratta viene inviata allo stabilimento di Rosignano attraverso una tubazione lunga circa 35 Km.

La realtà produttiva di Rosignano, grazie al salgemma del Volterrano e al calcare delle cave di S. Carlo, realizza una serie di composti, carbonato e bicarbonato di sodio, cloro e cloroderivati.

Come accade per molte altre grandi realtà industriali le ricadute occupazionali subiscono da molti anni una fortissima erosione, i dipendenti Solvay a Rosignano sono passati dai 3.200 del 1978 ai circa 800 attuali.

La Solvay di Rosignano è classificata ad “alto rischio d’incidente rilevante” ai sensi del DPR 175/88 e come tale soggetta a procedura particolare (notifiche, piano di protezione civile, ecc.). Tale procedura, durata ben 11 anni, ha messo sotto osservazione gli impianti Cloro, Etilene e Acqua Ossigenata e alla sua conclusione è stato dichiarato ad alto rischio solo l’impianto Cloro.

UPL000401_s-149521La dissoluzione delle lenti e dei banchi di salgemma determina la formazione di cavità di grandi dimensioni nel sottosuolo che sotto il peso dei terreni soprastanti vengono a richiudersi per schiacciamento e per crolli, in tempi più o meno lunghi. In superficie questo fenomeno si traduce in subsidenze (abbassamenti del terreno) di entità variabili. Le subsidenze possono indurre avvallamenti, fenomeni franosi e, nelle vicinanze dei pozzi di estrazione, vere e proprie voragini (camini di collasso) che spesso hanno determinato la formazione di laghi salati.

Le quantità di risorse, salgemma e acqua dolce, estratte da Solvay e utilizzate per l’industria di Rosignano sono andate crescendo nel tempo a ritmi vertiginosi: il salgemma è passato dalle 36.000ton del 1915, alle 569.000ton del 1950, fino ad 1.928.100ton nel 1997.

Per quanto riguarda l’acqua, essa è utilizzata da Solvay nei cantieri minerari per i processi di estrazione e di trasporto del sale, e nello stabilimento di Rosignano per i processi industriali. Il consumo è ovviamente cresciuto di pari passo con l’aumento dei quantitativi di minerale estratto e delle produzioni.

L’acqua viene prelevata in gran parte dal fiume Cecina nei vari punti dove sono dislocate le opere di derivazione: le quantità ufficiali rimandano esclusivamente a dichiarazioni Solvay, dal momento che nessuno fino ad oggi ha mai effettuato controlli. I consumi di acqua dolce sono passati da 28.000m3 (stimati) negli anni 1920 a 14.318.000m3 dichiarati nel 1996, di cui 10.413.000 derivati dal Cecina e 3.905.000 dal Lago di S. Luce nel bacino idrografico del vicino fiume Fine.

La Salina occupava negli anni cinquanta 540 dipendenti, numero che scese a 300 a metà anni settanta, nel 1996, al momento della firma del contratto, erano 120 e nel 2002 il numero degli occupati è crollato ad 80 unità. Ma ancora non basta, si continua a parlare  di una drastica riduzione del personale.

Gli impianti industriali risalgono ai primi anni sessanta e avrebbero senz’altro bisogno di essere modernizzati.

Il sistema di coltivazione a scacchiera applicato da Solvay prevede l’utilizzo di pozzi multipli che vengono in comunicazione nel sottosuolo attraverso estesi scavernamenti e profonde dissoluzioni. La dissoluzione dei banchi di salgemma nel sottosuolo per la loro prolungata estensione non può essere posta del tutto sotto controllo e da sempre si osservano vistosi abbassamenti del suolo ben al di fuori delle aree di coltivazione: se ne hanno esempi evidenti in località La Silsa, dove sono coinvolte la S.S, 68, la linea ferroviaria e alcune costruzioni e in località San Domenico. Dal punto di vista della sicurezza sarebbe di gran lunga preferibile il metodo di coltivazione definito a pozzi singoli che limita gli scavernamenti mantenendo dei pilastri di sostegno all’interno del livello produttivo frapposti ai comparti coltivati, ma l’azienda per massimizzare il rendimento preferisce utilizzare il metodo a pozzi multipli.

Le cavità sotterranee, la fratturazione e lo scompaginamento dei livelli produttivi e della copertura, in altre parole il dissesto geologico profondo provocato dall’attività estrattiva, aumenta sensibilmente la pericolosità sismica del sito, che in caso di evento tellurico diverrebbe infinitamente più vulnerabile.

Salute e Ambiente

Vi sono molti composti del cloro che finiscono nelle acque e nell’aria di Rosignano. Il cloruro di metile non è neppure citato nell’autorizzazione del 21/1/2000 della Provincia di Livorno sugli scarichi a mare, così come per il cloruro di metilene.

La stessa autorizzazione fissa per il cloroformio il limite di 285kg/anno, mentre per il tetracloruro di carbonio consente di raggiungere la quota di 380kg/anno.
Il contatto con le sostanze tossiche emesse o trattate dallo stabilimento (cloroformio, tetracloruro di carbonio, acqua ossigenata, percloroetilene, mercurio, nikel, ecc.) ha favorito al diffusione di patologie nella popolazione e nei lavoratori.

Un dato appare particolarmente preoccupante, dei 43 decessi avvenuti tra i lavoratori ex-esposti a CVM, 21 sono avvenuti per tumori maligni, per una percentuale del 49%.

Il mercurio è presente negli impianti Solvay di Rosignano come componente della vecchia tecnologia dell’elettrolisi con celle a mercurio per la produzione di cloro.

La Commissione europea (OSPAR) per la protezione del nord-est Atlantico ha indicato il termine del 2010 affinché venga definitivamente abbandonata. Esiste l’alternativa collaudata delle celle a membrana, il cui impatto ambientale è incomparabilmente inferiore.

Il mercurio si accumula nella catena alimentare ed arriva all’uomo prevalentemente sotto forma di metilmercurio; gli organi bersaglio sono il rene ed il sistema nervoso centrale, ma colpisce anche altri organi.

Le intossicazioni acute da mercurio possono provocare lesioni polmonari, nefrite, stomatite ulcerosa, ecc.

L’intossicazione cronica può portare ad alterazioni della personalità, irritabilità, insonnia, tremore, ansietà, alterazione della parola. Nelle donne in gravidanza può generare alterazioni del feto che si traducono in figli affetti da una malattia simile alla paralisi cerebrale, compromissioni uditive e visive e aberrazioni cromosomiche.

I dati ufficiali riportano che a Rosignano dal 1939 fino a poco prima dell’entrata in vigore della legge Merli (1976) siano state scaricate a mare 14 tonnellate all’anno di mercurio.

L’attuale autorizzazione consente di scaricarne 600kg all’anno fino al 2003 compreso. Ricercatori del CNR di Pisa hanno approssimativamente calcolato che sul fondo del mare lungo questo tratto di costa vi siano accumulate circa 337 tonnellate di mercurio.

L’ittiofauna può assumere questo elemento, come già successo a Minamata in Giappone, e quindi attraverso la catena alimentare esso può arrivare all’uomo con il carico di conseguenze immaginabili.

Le concentrazioni dei solidi sospesi eccedono di molto i parametri previsti dalla legge fin dalla emanazione della L. 319/’76.

Praticamente da allora Solvay gode di un regime di deroga rispetto a questo parametro che viene rinnovato ogni 4 anni con delibera provinciale.

La situazione va avanti così, in regime transitorio-stabile, da quasi trent’anni. L’ultima autorizzazione (21/1/2000) prevede un programma di risparmi d’acqua, di materiale e una riduzione degli scarichi a mare del 30%, entro il dicembre 2003.

DICHIARAZIONI di un GIORNALISTA esiliato

Cara dolce preferita fabbrica ad alto rischio tra le tante della mia infanzia. Pensate che fu il nonno materno che progettò alcune delle sue strutture. Il babbo invece era un “uomo del ferro” in quegli anni nei quali le miniere dell’Elba sfornavano minerali bellissimi ma forse economicamente poco utili e non c’erano filtri per le polveri e si respirava limatura di ferro intorno alle aree siderurgiche. Fabbriche “nere”.

Il sostegno alla fabbrica di tutti i “poteri forti” della società locale, derivata da quell’innesto dei primi del ‘900, era assoluto, anche dopo che si incominciarono a scoprire le magagne; e tale sostegno è continuato anche a seguito alle ripetute ristrutturazioni operate dalla multinazionale proprietaria che ha ridotto geometricamente l’utilizzo di forza lavoro umana ed invaso ancor più il territorio.

Ad ogni trattativa, invece di ottenere benefici in cambio di sacrifici, si spacciavano ulteriori concessioni alla fabbrica per “accordi raggiunti per il beneficio della collettività rappresentata”. Il sostegno alla fabbrica si estendeva a categorie teoricamente indipendenti, come la stampa quotidiana e i media locali, attenti a non far mai accellerare un processo di dismissione che facesse precipitare le trattative favorevoli al colosso belga.

La potente scuola quadri locali del PCI, operaia da due o tre generazioni, garantiva inoltre, oltre che sindaci implacabili, anche un’efficace copertura d’intelligence su ogni espressione di dissenso che si fosse manifestata e che fosse in grado di agire politicamente, quindi elettoralmente. Gli ambientalisti autoctoni sono stati sgominati dalla scuola quadri di d’Alema dopo che comunque erano riusciti a far arrivare la nave Syrius di Greenpeace a tappare il fosso maledetto, e a combinare un paio di suggestive e partecipatissime manifestazioni in città.

e SAN CARLO?

La società Solvay gestisce la cava di calcare di San Carlo, ormai avviata fin dal 1928.

Nel 1922 l’azienda belga Solvay si insediò a San Carlo per sfruttare i giacimenti naturali di calcare al fine di approvvigionare l’impianto industriale di Rosignano  e creando una vera e propria economia locale basata sull’estrazione mineraria.
L’attività estrattiva oggi investe un area di circa 250 ettari, un’area enorme.

Nel sito Web si dichiara che parte del prodotto viene venduto a clienti per l’utilizzo come materia prima per cementerie, materia prima per granigle e sabbioni o aggregato per ingegneria civile, riempimenti, sistemazioni superficiali, rilevati e sottofondi stradali e blocchi per scogliere.

Negli anni ’40 e ’50 arrivarono a lavorare in questo sito più̀ di mille persone fra operai e impiegati. In virtù̀ di questo sviluppo, la Solvay, come avvenne a Rosignano e a Ponteginori cominciò a costruire, insieme agli alloggi per i dipendenti, alcune infrastrutture: la chiesa, l’asilo, il cinema, l’infermeria, il circolo, la mensa, impianti sportivi.

Il calcare viene estratto attraverso l’esplosione di alcune cariche, la cosiddetta «Volata», ovvero lo sgretolamento di circa 15mila tonnellate di pietra calcarea per volta. I blocchi, caricati su camion da pale meccaniche, sono condotti ad un impianto di frantumazione che li riduce nella pezzatura ottimale per le successive fasi di lavorazione in stabilimento. A questo punto, il calcare veniva caricato sui carrelli di una teleferica e trasportato a valle, a San Vincenzo, dove presso un apposito impianto nelle vicinanze della stazione ferroviaria, veniva caricato sui vagoni del cosiddetto «Treno bianco» e così portato in stabilimento. Due treni, di 20 carri speciali ciascuno, compiono dai 4 ai 5 viaggi al giorno per un trasporto di circa 1000 tonnellate di minerale per viaggio.

Il cambiamento delle tecniche estrattive da manuali a meccaniche, comportò la riduzione dei minatori nelle cave, con il conseguente abbandono di molti degli abitanti di San Carlo.

Oggi rimane un manipolo di persone ad occuparsi della cava, la teleferica, fortunatamente, è stata dismessa e un treno che scende a valle, rifornisce i vagoni per Rosignano.

Queste cava ormai quasi centenaria , lascia il sistema collinare devastato dall’uomo e dalla sua sete produttiva e capitalistica. I piani di ripristino, quasi inesistenti, non faticano a portare in evidenza l’inadempienza delle amministrazioni comunali che si sono susseguite, una dietro l’altra. Come per Rosignano, esse hanno sempre favorito la multinazionale belga e assorbito gli oneri di coltivazione. Oggi tale dissesto è visibile ad occhio nudo, ogni volta che si intraprende la strada per San Carlo.

Ci chiediamo quando durerà ancora tutto questo, ma la risposta non sembra apparire all’orizzonte. Certo è che l’inesistenza di un piano turistico valido, ha favorito una situazione a dir poco paradossale per quanto essa contrasti con la tanto decantata vocazione turistico-sociale delle nostre zone collinari.

Conclusione

“L’avere è il lavoro accumulato,… l’essere è l’attività umana, certo, non un’attività semplicemente tale – come portare delle pietre da un posto all’altro, questa non è l’attività umana. […]  

Essere vivo, interessato, vedere le cose, vedere l’uomo, ascoltare l’uomo, immedesimarsi nel prossimo, sentire se stessi, rendere la vita interessante, fare della vita qualcosa di bello e non di noioso.”  

Erich Fromm

Forse questo è quello che dovrebbe essere la vita di un uomo? A Voi la scelta.

MoVimento5stelle San Vincenzo

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